giovedì 26 giugno 2008

Les Bienveillantes


Ho appena finito di leggere Les Benveillantes (Le benevole, traduzione impropria de Le Eumenidi) di Johnatan Littell. Ha vinto il premio Goncourt e tanti altri e ha ricevuto tonnellate di critiche.

Fuori luogo.

La storia è quella di una SS, un idealista colto e dalla psicologia fragile, un burocrate carnefice impiegato in Ucraina, nel Caucaso, a Stalingrado e infine a Berlino.

Tutto il libro si gioca su dicotomie. L'idealismo del Volk si scioglie nella tesi della banalità del male, la mente del protagonista, angustiata da incubi e flashback si dibatte tra la sua storia, (quella di un Oreste moderno, perseguitato dalla Benveillantes - Eumenidi) e la Storia della caduta wagneriana del Terzo Reich. La razionalità interna dei discorsi eugenetici e dello spazio vitale si confonde con gli istinti assassini del darwinismo sociale, la cultura classica del protagonista si alterna, senza che quest'ultimo possa controllarlo, con le sue perversioni sociali e sessuali. Il messaggio, penso, più profondo, incarnato perfettamente dalla metafora del mito greco, à l'arbitrarietà del male e la mancanza di possibilità di scelta dell'individuo, costretto dall'alchimia del proprio cervello e dalle catene della storia e della Storia.

Di qui le critiche. La follia a tratti consapevole del protagonista non è una follia omicida, non è un malvagio integrale, non dà spazio a una condanna netta e senza ripensamenti. Inquieta immaginarsi al suo posto, per questo, penso, non è piaciuto a molti. Immaginare i criminali nazisti come, appunto, semplici criminali, ci dà la possibilità di rinchiuderli nel sempre funzionale abito del "diverso", cio' che ci tocca solo nel momento in cui ci definisce come migliori. Littell, facendo parlare il protagonista e prendendo 1500 pagine per ricostruire il contesto - molto accurato, poco importa se storicamente perfetto - mette in dubbio questa rassicurante convinzione. Se in luogo di "altri" li consideriamo uomini non possiamo fare a meno di chiederci se avremmo fatto lo stesso.

A parte la pedanteria dei professionisti, che si sono attaccati alle loro preziose nozioni per criticare un lavoro creativo - operazione sempre sbagliata in termini, le critiche vengono dal fatto che la mancanza di scelta potrebbe significare giustificazione. In realtà il protagonista lo dice chiaramente: l'unica morale che si puo' applicare è quella dei Greci, dove non contava l'intenzionalità, ma l'attto. Edipo non sapeva che Laio era suo padre quando lo ha ucciso, ma non era per questo meno colpevole e si è inflitto da solo la propria punizione. Per le Eumenidi la morale dei Sovietici vale quanto quella delle SS, poichè la giustizia viene esercitata secondo la loro trascendente morale. E il protagonista, carnefice, non smette mai di essere dilaniato dalle Erinni.

Altri ( http://www.gadlerner.it/index.php/2008/01/27/la-pornografia-della-shoah.html#comment-47508 ) hanno criticato "la pornografia della violenza", risollevando la questione vetusta degli strumenti che puo usare l'arte per esprimersi. Anche se non la consideriamo buona arte - non penso sia un capolavoro assoluto, ma di certo non è Dan Brown - queste critiche lasciano il tempo che trovano, come, fortunatamente, hanno sempre fatto. La violenza, è diventata, anche in conseguenza di tutto il sangue versato nel Novecento, un mezzo espressivo, che puo' essere usato bene (cioè efficacemente - Coen, Polanski) o male (cioe pacchianamente e morbosamente- Gibson e Hollywood in genere)
Lerner dice che non abbiamo bisogno di pornografia per ricordare. Il punto è che "ricordare" serve solo a metterci l'animmo in pace e a sfilare nel giorno preposto. Ricordare non ci ha impedito di usare la Shoah in tutte le salse, per nutrire senza scrupoli le istanze più variegate e contingenti della nostra piccola politica. O di proporre "Tolleranza zero per i Rom". Occorre pensare, e all'occorrenza anche pensarsi carnefici, perchè il ricordo abbia un senso.


Altri (La Stampa e molti storici) hanno detto che non lascia spazio al grigio, dipinge tutto come un inferno di malvagità. Non so che liro abbiano letto. E' proprio il grigio che rende la crudeltà estrema cosi terrificante, è la sua normale istintiva facilità che costituisce il centro del romanzo.

Tutto questo per dire che lo consiglio, caldamente.





PS. Un amico, che chiamero' Eric Franc per comodità, consiglia un esercizio per comprendere cosa in realtà significhi Tolleranza Zero verso i Rom. Sostituire alla parola "Rom" la parola "ebrei", poi fermarsi a riflettere e ripetere all'occorrenza. Funziona anche per Commissario ai Rom. Coi CPT non c'è giochetto, usate l'immaginazione.

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